Subbuteo: non è meccanico, né elettronico. Così recitava una vecchia pubblicità sulle tv anni ’80. Oggi aggiungeremmo al claim la parola virtuale. Già, ma il condizionale è d’obbligo, dal momento che non c’è uno spot sul calcio in punta di dito.

Cos’è il subbuteo nel 2021? Un prodotto di nicchia che appassiona ancora i bambini degli anni ’70 e ’80 che oggi sono adulti e genitori. Ma c’è stato un tempo in cui il calcio in miniatura era l’oggetto dei desideri di piccoli e teen-ager. Più o meno il Subbuteo ha rappresentato l’equivalente della Playstation per la generazione dei millennials. E per questo abbiamo deciso di ripercorrerne la storia.

Quando nasce il subbuteo?

L’anno di nascita del Subbuteo è il 1947. E il suo ideatore è Peter Adolph, un impiegato inglese del Kent con la passione per l’ornitologia e ovviamente per il calcio, pardon, football. Infatti la parola Subbuteo deriva dal nome scientifico del falco lodolaio e la sua effigie è ritratta anche nel logo del gioco.

La campagna dolce, tranquilla e bagnata dalla tipica pioggerellina inglese è un luogo idilliaco per sfuggire al caos di Londra. Tutto è ordine e calma nella contea del Kent. Ma a volte questo idillio è la maschera che copre la noia. E allora Peter Adolph inventa questo hobby che consiste nel replicare in scala lo sport più bello del mondo: il calcio.

Forse questa è leggenda. Forse i motivi sono molto meno esistenzialistici e più legati al business. Ma il risultato è sempre lo stesso: Peter Adolph si ingegna e nel garage della casa materna comincia a creare i mini calciatori in plastica, le sagome per personalizzarli, delle basi che li sorreggono, le porte in metallo, le reti disegnate e una pallina scura. E il campo? No, quello non c’è ancora. Però nella confezione c’è un piccolo gessetto per tracciarne le linee.

Una grande operazione di marketing

Alt, facciamo un passo indietro. Prima di mettersi al lavoro nel laboratorio improvvisato, Peter Adolph acquista le inserzioni su riviste specializzate per ragazzi. C’è solo un problema, l’ornitologo inglese sta pubblicizzando qualcosa che esiste solo nella sua testa. Come? Sì, perché non ha ancora costruito niente. L’obiettivo è molto semplice: sondare il mercato, scoprire se c’è interesse e produrre non su larga scala, ma solo su ordinazione. In pratica la stessa logica dei piccoli e-commerce, solo che qui funziona tutto offline. Per forza.

É astuto Peter Adolph. Ma anche la sua mente geniale non può prevedere gli scenari futuri, persino quelli più rosei. Altro che pioggerellina del Kent, gli ordini si abbattono come grandine sul povero ornitologo che in poco tempo deve attrezzarsi come una vera e propria azienda con catena di montaggio. Tuttavia, i soldi non ci sono per far fronte a questa richiesta enorme e a Peter Adolph non resta che rimboccarsi le maniche, chiudersi nel garage materno e costruire da sé i calciatori in miniatura. Ed è qui che la storia del Subbuteo diventa leggenda. Avete presente la foto dell’ufficio di Jeff Bezos nel Natale del ’99? Ecco, se eliminiamo i computer non è molto dissimile dalla scrivania di Peter Adolph.

Il successo degli anni ’60

Prendete Messi e CR7 e utilizzateli come Testimonial del prossimo Fifa o Pes e il successo è assicurato. Negli anni ’50 e ’60 l’argentino e il portoghese non ci sono. E non sono nemmeno nei pensieri dei genitori. Però i giocatori di talento non mancano. Uno di questi è Stanley Matthews, uno dei calciatori più famosi e completi di quel periodo. Bastano un paio di foto del campione in azione con gli omini, un po’ di passaparola tra ragazzini e il gioco è fatto.

Stanley Matthews se la cavava alla grande anche nel campo di calcio in miniatura

Del resto c’è poco da investire in pubblicità, i diritti di immagine non sono zeppi di cavilli come quelli del XXI secolo. Il fenomeno Subbuteo diventa europeo. Adesso Peter Adolph ha alle spalle una vera azienda, la Waddington, ed è più semplice rispondere tempestivamente alle richieste del mercato.

Come cambiano le squadre e le confezioni

Gli omini diventano 3D, sono dipinti a mano e soprattutto c’è un catalogo. Il bambino non deve più personalizzare i calciatori anonimi o immaginare che siano i suoi beniamini. Niente di tutto questo. Dagli anni ’60 in poi è possibile acquistare direttamente la squadra del cuore con i colori ufficiali della divisa da muovere sul panno sintetico verde. Nel ’68-69 nascono i giocatori “con la stecca” su base cilindrica. All’epoca era una innovazione, dagli anni ’90 queste squadre sono un pezzo da collezione dall’enorme valore. E non solo affettivo.

Ma non è tutto: mentre il catalogo si arricchisce, si allargano anche gli accessori; transenne, panchine, bandierine, arbitri, raccattapalle, ma anche tribune, spettatori e polizia a cavallo. I bambini più fortunati e più benestanti possono ricostruire in cameretta la magica atmosfera del Wembley. Un po’ come in questa foto.

Il sogno di tutti i subbuteisti: esibire in casa uno stadio completo

L’arrivo in Italia

Un capitolo della storia del Subbuteo riguarda l’Italia. Il Bel Paese non è insensibile alle mode che attraversano la Manica e le Alpi. Qui, l’agente di commercio Edilio Parodi, genovese doc, apre le porte di casa al calcio in miniatura. E per oltre 30 anni la sua omonima ditta diventa distributrice ufficiale del gioco in Italia. L’imprenditore ci ha visto giusto perché il Subbuteo sfonda da Bolzano a Ragusa.

Con i soldi risparmiati dalla paghetta i ragazzini acquistano la confezione ufficiale del gioco, la squadra del cuore e non solo. Alcuni cominciano anche a collezionarle. Il subbuteo diventa il passatempo preferito dei baby boomers nei pomeriggi invernali. E non solo. Si gioca ovunque: per terra o sul tavolo, si improvvisano partite infinite, rivincite in punta di dito. tornei di classe.

Ma nascono anche i primi club, alla moda delle pionieristiche società di calcio del XIX secolo. Il subbuteo non è più solo un hobby: è diventato un fenomeno di costume. Quasi uno sport. E l’Italia ha una sua scuola che vince, convince e stravince all’estero nei primi tornei internazionali. Nomi come Piccaluga e Beverini dicono poco. Ma un tempo erano i Maradona e i Pelé del calcio in punta di dita.

La crisi di fine millennio

Il subbuteo resiste bene al lancio delle prime console come il Commodore e l’Atari. Troppo alto il prezzo e la grafica non aiuta. Il panno verde sta diventando vintage, ma mantiene intatto il suo fascino e la sua posizione di mercato. Tuttavia, è solo una illusione, nonostante le sono innovazioni come le basi più piatte, le maglie simili a quelle vere e i giocatori di colori in squadra che celebrano l’apertura delle frontiere.

Però non basta a parare i colpi della rivoluzione Playstation. Pes e Fifa ribaltano le gerarchie nelle letterine che i baby millennials indirizzano a Babbo Natale. Per il Subbuteo è l’inizio della fine. Nel 2000 la casa di giochi stars & stipes Hasbro diventa il nuovo produttore esclusivo. Ma si sa, gli americani non vanno molto d’accordo con il calcio e il tentativo di rimodernare l’invenzione di Peter Adolph si rivela un flop. Le miniature in pose da culturista cadono a ogni colpo in punta di dito. Insomma, l’estetica pregiudica la giocabilità.

Il falco non vola più? Forse, perché la storia del Subbuteo non finisce qui. Ma ne parleremo nella prossima puntata.

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