Parole come boomer e zoomer le conosci bene perché sono entrate nel vocabolario contemporaneo. Ma forse doomer ti manca. E allora quale occasione migliore per comprendere meglio il significato di questo neologismo/hashtag che è diventato una tendenza con milioni di followers su tutti i social.

Doomer: non c’entra niente l’età

La carta di identità non ha davvero niente a che vedere con questa parola. Se gli anni e la predisposizione alla tecnologia attuale dipingono perfettamente i tipi boomer e zoomer, si può essere doomer a qualsiasi età. Ma cosa significa essere doomer? Partiamo dall’origine del fenomeno che è nato in Occidente, ma è deflagrato in Russia. Negli ultimi anni, infatti, si sono moltiplicati questi personaggi-influencer che hanno fatto della tristezza e dell’angoscia un fenomeno social.

Qual è l’identikit del doomer? Stabilito che non c’è un limite d’età per diventare tale, ci sono delle caratteristiche che lo definiscono così. Per esempio, il doomer russo ama l’architettura sovietica, sfreccia a bordo della sua Lada Niva, ascolta il punk-rock made in URSS degli anni ’80 e ovviamente condivide tutto questo sui social. Sì, ma la depressione? E la tristezza? Beh, questa è una delle caption che può capitarti di leggere sui loro profili social e che abbiamo preso dal sito Russia Beyond Sono sempre stato attratto dalle rovine. Edifici abbandonati, usati nel passato e per qualche motivo poi lasciati decadere […] Del resto, le persone si usano anche a vicenda, e poi si abbandonano; e si dimenticano degli altri quando hanno raggiunto il loro obiettivo.”

Fallimento, ansia e grigiore

Insomma, il doomer ascolta allo sfinimento le sue canzoni preferite, il suo colore preferito è il grigio cementizio dell’Unione Sovietica, disprezza l’omologazione della civiltà di massa. Insomma, sembra un ragazzo colto, intelligente e in gamba che però non ce l’ha fatta, pur avendo dalla sua tutte queste caratteristiche. Non ha portato a termine i suoi studi, vive svolgendo lavori troppo manuali come l’idraulico o l’operaio e rimpiange l’infanzia trascorsa nei primi anni successivi al crollo del Muro di Berlino.

I doomer rappresentano la generazione della crisi, quella che ha quindi vissuto il passaggio tra l’Unione Sovietica che non c’era più e la Russia che (forse) non era ancora. Eppure, anche se la bandiera rossa sul Cremlino era stata ammainata da tempo, l’ingombrante cadavere dell’Unione delle Repubbliche Socialiste era visibile al piccolo doomer in ogni angolo della Grande Madre Russia: a volte con le sembianze dei condomini in cemento armato, altre con le sculture enormi e razionaliste del periodo precedente. Eppure quel paesaggio così poco idilliaco era così rassicurante per lui, persino le brutture architettoniche rappresentavano un campanile laico attorno al quale ruotava tutto il suo microcosmo.

Nostalgia canaglia

Ha detto Michael Portillo che in un mondo in cui le città sembrano sempre più omologate e in cui ovunque svettano grattacieli e McDonald’s, si sente il bisogno di vedere qualcosa di diverso, qualcosa di sovietico. Ecco spiegato questa nostalgia per il made in CCCP che pervade un po’ tutti i contenuti postati su tik-tok e instagram dai doomer.

Ma oltre al culto di un passato ormai archiviato, il doomer ama anche parlare dei suoi amori non corrisposti, dei suoi insuccessi e del suo senso di esclusione. I social diventano l’amplificatore attraverso il quale comunicare con tanti altri doomers che condividono la stessa visione decadente. Rispetto alla categoria occidentale che immagina un mondo che di disintegrerà sotto l’influsso della carenza elle risorse e dei disastri ambientali, nei “cugini” dell’est prevalgono temi storici, sociali e ovviamente privati.

Esistono tuttavia anche letture diverse su questo fenomeno. C’è chi dice che la stella rossa, i grandi casermoni e le etichette sovietiche dei prodotti siano solo il contorno. In realtà, il doomer è solo una persona che ama crogiolarsi nella malinconia, cioè quel sentimento che ti fa sentire felice nella tristezza. Interpretazioni esistenziali a parte, una cosa è certa: il fenomeno è ormai una tendenza seguitissima in tutto il mondo, anche nelle regioni più orientali e questo ha portato alla riscoperta di alcune rock star russe degli anni’80 passate sottotraccia in Occidente.

Condividi.

Lascia un Commento

Exit mobile version